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Agnelli, una storia italiana

  • Andato in onda:18/04/2015
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      AGNELLI, UNA STORIA ITALIANA

      Di Antonio Calabrò

      Consulenza di Edmondo Berselli e Valerio Castronuovo.

      In onda su Radio3 – Il Terzo Anello (40 puntate da Marzo a Maggio 2003).

      Montaggio per Rai Radio 6 Teca a cura di Maria Cristina Zoppa.

       

       

      "Tutti nella vita hanno delle opportunità e dei momenti difficili da difendere. Direi che il cavallo senza cavaliere con le staffe giù ti passa davanti una o due volte. C'è chi ci salta in groppa e approfitta per farne una carica, c’è chi lo lascia passare" (Gianni Agnelli - intervista di Enzo Biagi, 1988) 
      Circa due mesi dopo la scomparsa del Senatore Gianni Agnelli (24 Gennaio 2003), Antonio Calabrò, sull'onda delle "riflessioni" che questo passaggio di "tempo e vita" aveva causato, elabora con l'arguto Edmondo Berselli e lo storico Valerio Castronovo una storia "italiana" per definizione ma "senza confini" per struttura e pensiero ideologico di una Famiglia considerata dai più una Dinastia, di una FABBRICA che diventò il fulcro dell'immaginario collettivo per quasi un secolo, di una Città che "calvinianamente" non diventò "invisibile" ma visibile in modo diverso come non accadrà per nessun'altra in Italia. 
      Il C'era una volta che sfiora questa Storia, che sa anche ovviamente di favola, trova riscontro nell'idea che la FIAT che stiamo vivendo adesso, non dimentica ciò che è stato ma segna un'Epoca totalmente diversa. 
      Anche il susseguirsi dei "Giovanni ed Edoardo" durato nell'albero genealogico della Famiglia per più di due secoli, oggi si ferma su quel John Philip Jacob, segnando un destino che per l'inesorabile teoria della "livella" del "Principe" nessuno può "guidare" mai del tutto. 
      Il Re laico Gianni Agnelli, con lucido cinismo, così ricordava il saluto per la scomparsa improvvisa del padre Edoardo: "I funerali più che alla memoria di chi è morto, sono fatti in omaggio al potere di chi rimane"
      Non ci fu cinismo, non ci fu omaggio al potere negli ultimi anni della sua vita con due eventi che cambiarono definitivamente la Storia della Fiat e degli Agnelli: la morte di Giovannino Alberto, figlio di Umberto, nel 1997 a 34 anni per malattia ("Prometteva molto bene. Ha vissuto poco") e il ritrovamento del corpo del suo Edoardo ai piedi di un viadotto nel novembre del 2000. 
      Nel 2003 si chiude la prima lunghissima parte di questa storia iniziata l'11 Luglio 1899, in via Alfieri, 15 quando il Cav. Agnelli Giovanni, del fu Edoardo, nato a Villar Perosa, fonda la FIAT. Gli Agnelli del XX secolo sono stati "uomini d'impresa e di cultura del Futuro" ma anche donne che coltivavano piccoli segni di quotidianità. Susanna Agnelli ricordava i giochi d’infanzia parlando di "automobilina" e allo stesso tempo gli anni degli studi nelle "strutture pubbliche" come forma di AUTODISCIPLINA perché gli Agnelli, proprietari della Città nella Città, dovevano conoscere sulla pelle il "Contenitore" della loro Fabbrica Madre. Quella "Torino" in cui si diceva che gli operai erano "neri fuori ma rossi dentro"; quella Torino per la quale Vittorio Valletta affermava con convinzione "Il socialismo qui a Torino lo faccio io, con il dopolavoro e i pellegrinaggi a Lourdes", sperando di realizzare tale obiettivo scegliendo la classe "dirigente" Fiat tra i salesiani. 
      Ma i veri "visionari" del "Granaio meccanico" (così definiva lo stesso Valletta il Mondo Fiat) furono i fratelli Agnelli: se già dal primo decennio del secolo il Padre della Fiat aveva deciso che il futuro dell'auto sarebbe stata la produzione di massa e non quella di élite in cui la Fiat si era specializzata nei primi anni, saranno loro, insieme a Valletta e pochi altri, a decidere nel secondo dopoguerra che "bisognava imparare dagli americani ma non competere con essi. A loro le grandi cilindrate, a noi le utilitarie"
      Gianni Agnelli difenderà fino all'ultimo l'acronimo FIAT, nel senso di Fabbrica di Torino, come identità che rafforzava l'idea di auto popolare e di famiglia, la sua, (citava spesso la TOPOLINO venduta a 5000 lire), ricordando con tono piccato quando "Mussolini arrivò all'inaugurazione di Mirafiori nel 1940 a bordo di un'Alfa Romeo. Uno sfregio". Eppure l'Avvocato era ben consapevole che "La Fiat è filogovernativa per definizione ma prima di tutto è la Fiat" e forse proprio per questo "la simbiosi con il potere politico dal dopoguerra in poi" viaggiava di notte sui treni che portavano le più alte cariche Fiat da Torino a Roma, rifiutando di restare nella Capitale (una delle due per i torinesi, ovviamente) anche solo per poche ore in più. 
      Quando l'Azienda automobilistica italiana per eccellenza cambierà però il volto del Paese anche i due fratelli cederanno qualche passo, e non solo quello, in più. L'Italia tra gli anni '60 e '70 impara a "guidare" con l'auto Fiat: i sedili ribaltabili della 500 aprono la strada dell'emancipazione sessuale ma anche dell'immaginario italiano. 
      Nel frattempo iniziano le proteste (una vera e propria rivolta) perché la Fiat, al contrario di Cristo, non si era fermata ad Eboli, ma a Cassino, città martire e successivamente a Melfi, con uno stabilimento inaugurato nel 1994 ma formalmente in funzione già nel 1992/1993. Stiamo entrando nella Nuova Era. Quella fatta anche di Eco/Ego Fiat: la motorizzazione di massa e l’'inquinamento da cui lo slogan "Per lavoro: mezzi pubblici. Per divertimento: auto privata". 
      I fratelli Agnelli hanno percepito però prima di tutti (forse solo insieme a Luciano Bianciardi che nel 1962 scrive il libro del finto miracolo economico, La Vita Agra) che la stessa area laica, prevalente nella classe dirigente FIAT, poteva far fruttare ben poco la spinta e lo sviluppo comunque straordinario dell'Italia post-bellica per dei limiti insormontabili: non comportamenti coerenti da parte di Confindustria (mancanza di Programmazione), non del Sindacato (Resistenza ad uno sviluppo economico moderno) che condannarono anche politicamente quel centro-sinistra a cui casa Agnelli aveva rivolto più appelli. Al Senatore Umberto Agnelli, che aveva "rischiato" la carriera politica fu chiesto "Lei è nella condizione di poter aver ragione una volta come imprenditore, una volta come politico. In quale ruolo si sente più a suo agio?" "Io credo che qualsiasi cittadino italiano è anche uomo politico. Quindi mi sento a mio agio come cittadino, cioè uomo politico, ma la mia professione è quella dell’imprenditore"
      Il tentativo insomma, è sempre stato quello di raccontare una Storia "apparentemente normale e popolare", ma quella degli Agnelli rimane tra le più straordinarie, nel bene e nel male, che il Teatro Italia abbia mai rappresentato.

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